di Salvo Barbagallo
Finito da tempo l’idillio con Angela Merkel, in quel “tempo” passato dove auspicava per l’Italia un “copia e incolla” con le idee di “nazione” di una Germania che detta regole, oggi il premier italiano ostenta un’autonomia dalle influenze teutoniche che, apparentemente, non dovrebbe avere alcun supporto valido. Si dice “apparentemente” poiché (ma non è una novità) l’osservatore della politica europea (e italiana) non comprende da dove scaturisca la “forza” che mostra di avere Renzi nell’opporsi a chi rappresenta in questo momento l’Europa. E l’osservatore politico, altresì, non comprende le “ragioni” di uno scontro che in molti sostengono pretestuoso e non capiscono bene da dove e perché è nato. Come ha scritto Il Corriere della Sera Preoccupati sono un po’ tutti, a Roma e a Bruxelles. Lo scontro che si è aperto venerdì scorso con l’attacco del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker contro Matteo Renzi ha qualcosa di inedito, nella sua virulenza. Ma l’inquietudine a questo punto non riguarda solo le tensioni politiche tra Palazzo Chigi e le istituzioni di Bruxelles. Se ieri il Wall Street Journal, quotidiano della comunità finanziaria newyorkese, evocava «la nuova frattura» europea, con «Roma contro Berlino», c’è qualcosa di più di uno scontro casuale…
Avere detto a Bruxelles apertamente che “a Roma manca un interlocutore”, ha significato mandare un messaggio pesante anche ai mercati finanziari; e, di fatto, screditare il governo italiano. Ma Matteo Renzi, nonostante i consequenziali allarmismi, sta tirando dritto sostenendo che l’Italia non si lascia intimidire. Se è così (e potrebbe anche essere anche così) è legittima la domanda: “Renzi, da dove trae questa sua compiaciuta sicurezza”? L’Italia non sta attraversando un periodo sereno: troppe problematiche pesano sull’immediato futuro. Dall’altra parte il destino dell’Unione Europea naviga in acque perigliose, rischiando di sfaldarsi al primo vero impatto. La questione migranti (forse) è stata (ed è) l’occasione di una prova sulla coerenza d’indirizzo politico che prima o poi sarebbe arrivata. Rileva giustamente il Corriere sulle prese di posizione di Matteo Renzi: Su questo sfondo, più che reagire, battere i pugni, il problema è capire. Da Palazzo Chigi, al ministero dell’Economia, fino a Bankitalia e al Quirinale, il tentativo è di interpretare correttamente i segnali che arrivano da oltre confine. E darsi una spiegazione dei motivi che hanno indotto istituzioni europee decise fino a ieri a credere alle riforme renziane, e convinte dell’assenza di alternative al suo governo, a metterlo in mora ripetutamente in pochi giorni (…) Per questo è prevedibile che la reazione a caldo di Renzi ai rilievi di Juncker dovrà essere ricalibrata (…) Proprio alla vigilia della stilettata di Juncker, Berlino ammoniva che «i giochi sono finiti», alludendo alle richieste di flessibilità sui conti pubblici. E si puntava un dito aggressivo contro « il teatro italiano» del premier. Il Quirinale è tra quanti sono desiderosi di capire l’origine e l’obiettivo di tensioni che nelle ultime ore sono sembrate quasi cercate. Si intravede l’insofferenza rispetto al modo d’agire dell’Italia. Ma la domanda da porsi è se sia cambiato l’approccio del governo Renzi; oppure se sia mutato, in peggio, l’atteggiamento europeo nei suoi confronti. In una fase di crisi come l’attuale, quello che prima era tollerato ora non lo è più. Se così fosse, non è Bruxelles a non avere interlocutori a Roma. È semmai Renzi a ritrovarsi di colpo senza sponde nella Ue (…).
Ma di ciò il premier italiano non appare preoccupato: continua a battere i pugni sul tavolo, continua a fare la voce grossa, convinto di potere dominare la scena e imporre la sua strategia. Quale strategia e finalizzata a cosa? Restano, dunque, solo interrogativi senza risposta.